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Giuseppe Cultrera: “La scuola gaginiana nell’architettura di Chiaramonte Gulfi”
Le “passeggiate sotto le stelle” a Chiaramonte Gulfi. Gli appuntamenti organizzati e guidati dal professore Giuseppe Cultrera hanno permesso di conoscere la storia ed i monumenti più antichi di Chiaramonte Gulfi, soffermandosi su alcune opere che, ancor prima del terremoto del 1693 hanno dato un’impronta forte all’abitato della cittadina, con le sue chiese, i palazzi nobiliari (alcuni dei quali non più esistenti) e, in alcuni casi, attraverso i resti di monumenti che non ci sono più che sono stati recuperati ed inseriti nel corpo di altri edifici. Alcune passeggiate sono state dedicate ai monumenti del barocco, altri l più recente neoclassico ed al liberty, o al Rinascimento (cui si fanno risalire la chiesa Madre e l’antica chiesa del Salvatore. Nelle tre passeggiate ancora in programma (fino alla conclusione il 4 settembre) si ricorderanno anche alcuni personaggi della storia recente e meno recente di Chiaramonte, quelli di cui non si scrive nulla sui libri di storia, ma che hanno connotato un’epoca e di cui si scrive nella cosidetta “microstoria”. Una puntata sarà dedicata ai luoghi della guerra di Vincenzo Rabito (autore di Terramatta, fenomeno letterario del secolo) e si chiuderà con il quartiere Cuba (con reminescenze arabe), con la chiesa di Santa Maria di Gesù e con le “neviere”. Chiaramonte, nel periodo rinascimentale, operarono alcuni discendenti di Giandomenico Gagini: furono scalpellini e capomastri formati alla scuola gaginiana, che vide numerosi famosi rappresentanti, tra cui il famoso Antonello Gagini, che operò a Messina. Sull’operato dei Gagini e degli artisti che si formarono alla loro scuola, sulle loro opere a Chiaramonte, pubblichiamo un saggio del professore Giuseppe Cultrera, organizzatore e guida delle “passeggiate sotto le stelle” (altrimenti dette “per le antiche vie).
di Giuseppe CULTRERA
Sono artisti artigiani nell’alveo della scultura rinascimentale – che in Sicilia ebbe artefici indiscussi i numerosi discendenti di Giandomenico Gagini – gli scalpellini, mastri e capomastri, operanti dal secolo XVI e fino al terremoto del 1693 a Chiaramonte.
Alcuni anche di notevoli capacità. Come Nicolò Mineo (1542 – 1625) che veniva già considerato dal Di Marzo un originale gaginiano, autore persino della cosiddetta Cona nell’antica Chiesa di S. Giorgio oltre che della cappella del Rosario nella chiesa di S. Filippo in Chiaramonte. Ipotesi che è risultata parzialmente inesatta, a seguito di un recente ritrovamento nell’archivio storico di Ragusa di un documento che dà paternità dell’opera ragusana ad Antonio Gagini, che ne esigeva il pagamento nel 1576.
Mentre non ci sono dubbi per la cappella del Rosario, ricollocata dopo il terremoto del 1693 nella sacrestia dell’attuale chiesa di S. Filippo, accanto alla lapide sepolcrale che ne ricorda l’artefice: «magister nicolaus de mineo artifex nobilis et sculptor excellens hic mortuus requiescit, vixit annos 83. obiit 21 xbris 1625».
Il Melfi, studioso locale del secolo passato, lo dice originario di Caltagirone. Ma nel Rivelo della popolazione del 1593, risulta stabilmente residente a Chiaramonte, nel quartiere S. Filippo, proprio accanto alla chiesa dove portò a termine l’ultima opera: «Mastro Nicolao di Minio, figlio di Antonio, sposato con Violanti, residente nel quartiere di S. Filippo, di anni 50, con 3 figli, con un limpio (reddito tassabile) di 102 onze».
Appare chiaro che la sua opera artistica non è riconducibile esclusivamente all’arco di cappella della Madonna del Rosario (nel quale lavoro venne sicuramente coadiuvato dai figli, data l’avanzata età) concluso nel 1624, un anno prima della sua scomparsa. Ma se quest’opera sopravvisse al terremoto, lo stesso non avvenne per molte altre testimonianze del rinascimento, andate perdute immediatamente o destinate a lento degrado per la loro precarietà e per l’incuria degli uomini. Tra queste certamente l’elegante cappella dell’Annunziata, quella della chiesa di S. Francesco, il prospetto della chiesa di S. Giovanni e quello del Salvatore (buona parte del portale è oggi conservata nella nuova chiesa del Salvatore).
Due di queste opere, la cappella dell’Annunziata e il portale del Salvatore, potrebbero aver ricevuto il contributo artistico del Mineo. Questa, che è solo un’ipotesi attributiva, trova sostegno storico e stilistico nelle testimonianze dei memorialisti locali che ritengono le due opere di scalpello gaginiano (il Melfi addirittura la ritiene del contemporaneo Antonio Gagini, quello della Cona di S. Giorgio ad Ibla, che come abbiamo visto, oggi sicura filologia documentale gli restituisce), e nel confronto tra l’arco di cappella in S. Filippo, opera di certa fattura del Mineo, ed i resti del portale del Salvatore (si raffrontino ad esempio il fregio centrale della cappella e quello del portale con due figure mitologiche antropomorfe, affrontate al centro, somiglianti per stile e per modalità di esecuzione).
Ciò non esclude che Antonio Gagini, o altri della sua bottega, abbiano lavorato per gli edifici di culto di Chiaramonte; in ogni caso sembra verosimile che il Mineo sia stato il principale riferimento per le committenze dei chiaramontani tra fine Cinquecento e primi decenni del secolo successivo.
Suo continuatore e probabilmente discepolo ed aiuto fu Simone Mellini, pure lui originario di Caltagirone, operante dagli inizi del ‘600 e ritenuto dagli scrittori locali, specie dal Melfi che però non dichiara le fonti storiche o documentarie da cui trae notizia, l’artefice di gran parte delle strutture architettoniche o plastiche, tardo rinascimentali, giunte sino a noi.
Per citarne alcune, in ordine cronologico, le statue di S. Vito e S. Francesco di Paola del prospetto della Chiesa Madre e quelle non più esistenti di S. Pietro e S. Paolo che ornavano il recinto antistante, scomparso col terremoto o con le riforme settecentesche della piazza, ed una cappella interna non più esistente; la piccola chiesa di S. Giuseppe, della quale ci resta una porta laterale (a sud ovest) di sobria eleganza; la cappella maggiore della chiesa delle Grazie (chiesa edificata a partire dal 1616) e quella somigliante del Crocifisso nella chiesa di S. Maria di Gesù.
L’arco di tempo in cui fu attivo si può racchiudere tra il 1608 (data incisa sul primo ordine del prospetto della chiesa Madre) quando ragazzo scolpisce le statue di S. Vito e S. Francesco di Paola ed il 1650 circa quando lavora, secondo il Melfi, alle cappelle del Crocifisso (chiesa di S. Maria di Gesù) e della Grazia nella chiesa omonima. […]